La politica come servizio

Di seguito un articolo che ho scritto per "Dialogo" quindicinale di informazione e di approfondimento della Diocesi di Alghero-Bosa in occasione del 35° anniversario della morte di Giorgio La Pira. Ho colto l'occasione offertami dal Direttore, che ringrazio, per proporre una riflessione sul rapporto democrazia-partiti.
 
A 35 anni dalla morte di Giorgio La Pira, rispolverare il senso del suo servizio nelle Istituzioni democratiche di questo Paese è quanto mai opportuno al giorno d’oggi. Egli fa parte, infatti, del novero di quei personaggi che hanno segnato il tessuto politico e sociale del Paese, svolgendo tra l’altro un ruolo di primo piano nell’Assemblea Costituente. È anche uno di quei testimoni credibili della fede, preziosi riferimenti per qualunque persona, in particolare per un cattolico, impegnata nel servizio in politica. Deputato e sindaco di Firenze, ha instancabilmente lavorato per il bene comune, coniugando l’indifferibile urgenza di tradurre in azioni concrete i principi costituzionali e una azione politica caratterizzata da una sensibilità sociale straordinaria rivolta a garantire a tutti una vita dignitosa. Si adopera, concretamente, per favorire opportunità lavorative, il diritto a una casa e alla salute, e proteggere i più deboli. Il suo è uno stile di assidua e naturale vicinanza alle persone che si traduce anche in innumerevoli iniziative di pace e di dialogo tra i popoli, in un contesto storico e sociale particolarmente tumultuoso. Tanti sono gli insegnamenti di La Pira ancora oggi attualizzabili. Mi voglio soffermare, seppur brevemente, sul rapporto democrazia – partiti. La Pira, nel 1948 venne eletto deputato nelle liste della Democrazia Cristiana, candidandosi da indipendente. Non si iscrisse mai al partito, sostenendo che la sua unica tessera era il battesimo. Detto questo, sarebbe facile alimentare lo scontro tra politica e antipolitica, di grande attualità, che sfocia presto nel dualismo tra bene e male, ma vorrei cogliere l’opportunità di queste righe e l’esempio di La Pira per fare un ragionamento più profondo.
L’art. 49 della Costituzione riconosce a tutti i cittadini il diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Un partito è un mezzo per fare politica, e lo stesso La Pira, pur non associandosi, ne riconosce in qualche maniera la dignità costituzionale accettando la candidatura nelle file della DC. Ciò che fa la differenza, al di là della scelta personale di aderire o meno a un partito, è il comportamento delle persone che per La Pira si tradusse in una vocazione alla testimonianza dell’Evangelo nel contesto politico. L’agire politico deve essere ispirato da un principio sostanziale di legittimazione democratica: il perseguimento del bene comune. Occorre partire da questo presupposto perché, al netto delle sfumature del dibattito politico, al centro sia posto sempre l’interesse della collettività, al quale tanto una maggioranza quanto una minoranza, seppur nel distinguo delle responsabilità, possono e devono concorrere. In questa prospettiva i partiti hanno un ruolo importante di mediazione tra cittadini e istituzioni, ma sono un mezzo e non il fine per fare politica. Devono recuperare la capacità di avvicinare i cittadini alle istituzioni, per ricostruire quel rapporto di fiducia che è alla base della democrazia e per promuovere una forma di partecipazione più autentica e attiva. Sono convinto che sia possibile una politica tesa al bene comune, ma la “buona salute” delle istituzioni democratiche dipende anche dal contribuito che ogni cittadino potrà dare e dalla sua capacità di riappropriarsi di quella sovranità che la Costituzione gli attribuisce! 
La politica, oggi più che mai, va presidiata e i cittadini, ancor più che i partiti, sono le prime sentinelle di un presidio posto a garanzia e tutela della democrazia e possono svolgere un ruolo importante anche nello stimolare i partiti stessi a rigenerarsi in termini di autorevolezza e credibilità.
 
 

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